di Marco Piervenanzi.
Direte voi, è colpa della guerra.
Certo. Eppure anche nella guerra persiste quella gerarchia di valori che colloca in basso, nella lista delle priorità, gli animali non umani.
Di cosa parlo, direte voi?
Di un canile in Ucraina, a Borodyanka: uno di quei luoghi che – avvolti dal dolore – commuovono il mondo.
E cosa è successo?
Niente. Tutto normale, per voi forse…
Ci sono le bombe che cadono dal cielo e la responsabile di un galera per cani innocenti decide di fuggire lasciando chiuse le gabbie.
E poi? Nulla, ossia un numero infinito di viventi muore di fame, di stenti, di terrore.
Questo perché la discriminazione di specie, chiamata specismo, persiste e persino si rafforza nelle situazioni di conflitto.
Si scappa dalla guerra senza nemmeno dare una possibilità di fuga ai condannati; come si farebbe invece per gli animali umani.
E quindi? Quindi un antispecista, quando non può agire, prende la penna e scrive. Parla e si prende le sue responsabilità: nelle guerre tra animali umani, esiste un manipolo di idealisti che di fronte a questo orrore prende le distanze da tutto e dice quello che più vi disturba.
Le guerre, le nostre guerre, procurano morte, ma poi ci sono altre morti invisibili.
Sono le nostre morti, quelle dei nostri fratelli. E solo noi moriamo con loro.
(Immagine di Andrea Festa)