di Marco Piervenanzi.

È finita come avevamo detto?

Beh, sì. Lo poteva perdere solo la Lazio e lo ha perso la Lazio.

I biancocelesti, subito dopo il fischio di inizio, sono andati sotto.

Gol di Abraham al 56° secondo.

È uno shock. I biancocelesti non sono in campo. Al 22° raddoppia ancora Abraham e al 40° su punizione Pellegrini sigla il 3 a 0.

C’è solo un ma, e riguarda il minuto 11: Irrati non vede un netto rigore su Savić, che prende una gomitata al naso da Ibanez in area. Protesta solo il diretto interessato, senza successo.

La seconda parte della gara non regala niente di importante rispetto al primo tempo.

Nei giorni a seguire, la gente laziale si infuria sui social ricordando Giorgio Chinaglia, Pino Wilson, Paolo di Canio, Fernando Couto, e poi Mihajlović, Simeone e Almeyda, perché un derby si può perdere, giocando male, ma quando un tuo giocatore è a terra, dopo un fallo, il tuo pubblico si aspetta una mischia a difesa del compagno di squadra: perché quel che vuole il tifoso, nelle stracittadine, non è solo la vittoria ma la difesa della maglia, della bandiera, dei colori.

E, nel rettangolo di gioco, l’undici biancoceleste non è esistito. Per il tifoso tutto questo è un oltraggio per il quale occorre chiedere scusa perché si tratta di appartenenza, è noi contro di voi, siamo dentro un immutabile modello binario.

Tutto il mondo può cambiare, il derby no.