di Marco Piervenanzi.

Siamo agli inizi del 2000. Il mondo sta cominciando a essere quello che conosciamo oggi.

Zygmunt Bauman, lo studioso polacco venuto a mancare nel 2017, capisce da subito che la società moderna entra in una sua fase problematica.

Per spiegare questa complessità lui, uno dei più grandi sociologi contemporanei, introduce il concetto di “liquidità” dentro testi memorabili come Modernità liquida (2000-2002); Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi (2003-2004)

In assenza di punti di riferimento, l’uomo vive una individualità senza freni, consuma, appare ma è solo e incerto a tal punto da esser certo solo dell’incertezza.

In questo scenario anche l’amore diventa “liquido” e l’individuo resta sospeso tra la ricerca compulsiva delle emozioni e la paura del legame vero.

La definitiva accelerazione di questi processi avviene per via della tecnologia: la nostra vita social fatta di connessioni, ci disimpegna e ci deresponsabilizza.

Siamo dentro una rete e al tempo stesso liberi di fuggire. Cerchiamo sicurezza emotiva ma poi non vogliamo il fiato addosso.

Il risultato è la solitudine dalla quale vogliamo uscire attraverso legami instabili e velocemente sostituibili.

Proviamo a colmare il vuoto riempiendolo di niente.

Questo è Bauman, questa è l’essenza del suo pensiero in relazione alla postmodernità, il suo interesse maturo: tutto si tramuta in merce, anche l’essere umano, perso dentro relazioni incerte, aleatorie, provvisorie. E oggi? Trascorsi un po’ di anni rispetto alla sua analisi efficace e precoce, lo scenario si compone giorno dopo giorno di nuovi fenomeni: uno su tutti il ghosting, la sparizione improvvisa, inaspettata, un po’ codarda perché apparentemente immotivata della persona con noi connessa.

Noi potremmo peraltro chiederci, rebus sic stantibus, se un dialogo virtuale – che sembra un non luogo fisico – dove non tocchiamo nessuno e dove non ci abbracciamo, possa diventare uno scambio di emozioni segrete e profonde, un surrogato comodo rispetto al darsi davvero. Ma ci diamo davvero?

Non è che siamo diventati un po’ tutti emotivamente svogliati?

(Immagine di Andrea Festa)